Oronzo Pugliese, il personaggio che ispirò Oronzo Canà


Chi non conosce il personaggio di Oronzo Canà, il tecnico della Longobarda del film "L'allenatore nel pallone"? Ebbene, il grottesco personaggio di Lino Banfi, deve molti dei suoi tratti ad una figura calcistica realmente esistita: Oronzo Pugliese.
Oronzo Pugliese era allenatore di calcio, attivo tra gli anni '50 e i '70 che, tra le altre, allenò in serie A Foggia (conducendola in una marcia trionfale iniziata in Serie C) e Roma. Persona genuina e di carisma, Oronzo era un personaggio molto focoso che, come il Canà di Lino Banfi, non era certo dotato dell'aplomb di Liedholm. Per non parlare del comportamento in panchina, sulla quale proprio non era in grado di restare calmo: ingressi in campo per richiamare i giocatori o per festeggiare i gol, scatti sulla fascia ad accompagnare la corsa dell'ala, imprecazioni, ecc... Gianni Brera disse di lui che era "un mimo furente di certe grottesche rappresentazioni di provincia".
Lino Banfi / Oronzo Canà
Nel film (ci riferiamo solo al primo, il recente seguito non lo prendiamo neanche in considerazione) vediamo Banfi gettarsi del sale alle spalle, colpendo l'incolpevole Crisantemi. Ebbene, questo fatto trae origine dalla nota scaramanzia di Don Oronzo. Si narra che comprasse un pacco di sale prima delle partite, per spargerlo intorno la panchina e dietro le porte. Infinite sono le storie che si raccontano sul suo conto. Pare che un giorno diede un ceffone ad uno sconosciuto in un cinema perché fumava: pensava si trattasse di Pace, centravanti del Bologna di cui era allenatore. Leggendaria pare fosse anche la sua taccagneria. All'inviato del Guerin Sportivo, che lo intervistò nella sua villa in campagna quando ormai, suo malgrado, era in pensione, disse:

La partita della morte, quando Kiev sconfisse i nazisti sul campo

Saranno in molti ad aver visto il film di John Huston "Fuga per la vittoria". Ed in molti a ricordare la rovesciata di Pelè che, di fatto, chiude il film in trionfo. Ma sono in pochi a sapere che il film è ispirato ad un fatto vero, avvenuto durante la seconda guerra mondiale. Tale evento è passato alla storia come "la partita della morte". Dal nome, è facile dedurre come questa vicenda sia sprovvista di un lieto fine analogo a quello del film... Ma andiamo con ordine.

1942. Siamo a Kiev, già da un anno occupata dai nazisti. Le milizie del Reich tengono sotto controllo la popolazione con il pugno di ferro. Quando non sono i soldati ad uccidere, ci pensa la fame. In quegli anni Kiev è proprio uno dei peggiori posti in cui vivere. Un certo Iosif Ivanovič Kordik, in quel periodo, dirige il panificio cittadino, con l'appoggio del regime. Grande appassionato di calcio, Kordik riesce ad assumere nel suo laboratorio diversi calciatori che militavano nella Dinamo Kiev e nella Lokomotiv Kiev, le due squadre della capitale.
Nella primavera del 1942 gli occupanti decidono di regalare un po' di vita alla popolazione del luogo. Riaprono i fiorai, i tram riprendono le loro corse e viene creato un piccolo campionato di calcio cittadino cui partecipano 6 squadre. Un modo come un altro per fare propaganda e dimostrare anche in ambito sportivo la superiorità della razza ariana. Infatti, 4 delle 6 squadre sono formate dalle forze di occupazione: una squadra ungherese, una romena, una formata da collaborazionisti ucraini e una da soldati tedeschi. Ma il vero trionfo ariano è rappresentato dalla Flakelf, una squadra composta dai migliori atleti delle forze armate naziste. Insieme a queste cinque squadre, si iscrive al campionato anche la squadra dei prigionieri, composta dai dipendenti del panificio, l'F.C. Start. Questa era composta da Mykola Trusevyč (il portiere, il capitano e il vero trascinatore della squadra), Mychajlo Svyrydovs'kyj, Mykola Korotkych, Oleksij Klymenko, Fedir Tjutčev, Mychajlo Putystin, Ivan Kuz'menko, Makar Hončarenko, Pavlo Komarov, Jurij Černeha, Petro Sotnyk, Volodymyr Balakin, Vasyl' Sucharjev, Mychajlo Mel'nyk. Gli ultimi tre militavano con la Lokomotiv, mentre gli altri erano tutti giocatori della Dinamo.

Giacomo Murelli, l'Anti-Maradona


Il nome di Giacomo Murelli ai più non dice nulla. Attualmente fa il tecnico (fino a poco fa vice di Pioli), e come giocatore vanta una sessantina di presenze in serie A, con la maglia dell'Avellino, e circa 150 in serie B. Per un paio di stagioni divenne anche abbastanza famoso, col soprannome di "anti-Maradona". Questo perché, quando il suo Avellino si scontrava con il Napoli, la marcatura del Pibe de Oro era compito suo. Un compito che svolgeva anche piuttosto bene, considerato che su 4 incontri, Maradona marcò la rete solo nell'ultima partita. Partita terminata con un secco 4-0, nella stagione che decretò la retrocessione dell'Avellino. A quei tempi, il match tra le due squadre era un vero derby. Il pubblico sentiva molto la partita, così come i giocatori. Gli occhi di tutta l'Italia calcistica erano puntati sulla Campania.

Il mistero Bergamini: come è morto Denis?

Donato Bergamini, per tutti Denis. Il suo corpo viene ritrovato privo di vita il 18 novembre del 1989 sulla strada statale Jonica. Aveva solo 27 anni. Militava nel Cosenza, in Serie B.
Questa la ricostruzione ufficiale: Denis si sarebbe volontariamente gettato sotto un camion e il suo corpo trascinato per 60 metri sotto le ruote dell'automezzo. Suicidio. Ma cosa avrebbe spinto a tanto un ragazzo di 27 anni, nel fiore della sua carriera agonistica? Come mai? Cosa sarà mai successo? Questi interrogativi se li è posti da subito la sua famiglia, convinta che Denis non possa essersi ucciso. Ma l'inchiesta non consegna alcun colpevole alla giustizia. Si tratta di suicidio. Solo lo sfortunato caso di un ragazzo, apparentemente felice, che cova dentro un disagio immenso.
Ma a distanza di anni, dubbi e scetticismo, per quella che è la versione ufficiale dell'accaduto, crescono e la famiglia Bergamini non è più la sola a credere che Denis non si sia ucciso. Ma andiamo con ordine.

Rambert e Zanetti: il "fenomeno" e l'"altro"

Zanetti e Rambert nel giorno della presentazione
Siamo nell'estate del 1995. Moratti ha da poco prelevato l'Inter da Pellegrini. Il passaggio di proprietà c'era già stato a febbraio, senza che vi fosse per la nuova dirigenza la possibilità di intervenire sul mercato. Ma con la bella stagione arriva il momento di investire.
Le regole prevedono che si possano mettere in distinta solo 3 stranieri. I 4 dell'anno precedente sono stati tutti ceduti: Sosa, Bergkamp, Jonk, Pancev. Quindi tutte e 3 le caselle sono da riempire. I primi stranieri ad arrivare vengono dall'Argentina. Il primo è un terzino di belle speranze già nel giro della nazionale, un certo Javier Zanetti. L'altro è un attaccante, anche lui nel giro della nazionale, che quando segna esulta facendo l'aeroplanino, Rambert. Della coppia di argentini, Rambert era quello forte, quello che faceva gridare al grande colpo di mercato. Zanetti era solo "l'altro".
Ma alla fine di lui si ricorderanno una presenza in Coppa Italia ed una presenza in Coppa Uefa (Inter eliminata clamorosamente al primo turno dal Lugano). E pensare che l'accoglienza fu a dir poco calorosa. Rambert passava per uno di quegli attaccanti non troppo prolifici, ma capaci di inventare e mandare in porta i compagni. Manna dal cielo per la nuova presidenza, desiderosa di tornare a far sognare i propri tifosi. Ma come spesso succederà per gli acquisti dell'era Moratti, la distanza tra realtà ed aspettative è abissale.

I poteau carrés: il Saint-Étienne e quei maledetti pali di Glasgow

Negli ultimi anni la Champions League (o Coppa Campioni) è saldamente in mano ad una decina di squadre, che arrivano in maniera abbastanza regolare alle fasi finali. Certo ci sono delle eccezioni, basti pensare all'inedita finale tra Porto e Monaco che consacrò Mourinho come profeta del calcio. Ma diciamo che, salvo queste rare eccezioni, non esistono più quelle squadre simpatia che, grazie ad una fortunata generazione di fenomeni, riuscivano a contendere il massimo trofeo ai vari Real Madrid, Barcellona, Bayern Monaco, ecc...
Bene, qui di seguito parliamo della finale del 1976 tra Bayern Monaco e Saint-Étienne. La prima è alla terza finale consecutiva, e vanta tra le sue fila giocatori come: Maier, Beckenbauer, Rumenigge, Gerd Müller, Uli Hoeneß... insomma la nazionale della Germania Ovest. La più solida e la più forte squadra del panorama europeo.
Dominique Rocheteau
Il Saint-Étienne, invece, è tornato a vincere il campionato francese e può così provare l'assalto al trofeo continentale. Qualche anno prima, la squadra transalpina era dominatrice in patria e, vuoi la scarsa esperienza o l'eccessiva intraprendenza, in Europa alternava grandi prestazioni (un 3-0 al Bayern Monaco, per esempio) a débâcle clamorose. L'anno prima fu proprio la squadra bavarese a batterli in semifinale.

Grasso è bello: quando il peso conta

Il gioco del calcio è notevolmente cambiato nel corso degli anni. Se si confronta una partita di oggi con una di 50 anni fa, la prima cosa che balza agli occhi è la netta differenza di velocità di gioco. Nel calcio odierno i giocatori sono atleti iper allenati, con scatti da centometristi e fisici da personal trainer. Ed ecco perché quando in campo vedi comparire giocatori con qualche chilo di troppo nel pubblico scatta subito la risata e l'ovazione. Perché l'atleta con il fisico del tifoso, abituato a tracannare birra e a guardarle le partite, non a giocarle, fa simpatia. Eppure, nella storia del calcio, ci sono innumerevoli esempi di giocatori sovrappeso che, nonostante l'evidente problema estetico e motorio, sono riusciti a lasciare un'impronta indelebile nel mondo del calcio. Stiamo parlando di giocatori del calibro di: Maradona, che ha sempre avuto una pingue forma; Ronaldo, che dopo il trasferimento al Real Madrid di anno in anno ha messo su sempre più chili (che non l'hanno frenato nelle sue vittorie); Gascoigne, che probabilmente doveva il suo fisico non proprio longilineo alle abitudini poco virtuose che esercitava fuori dal campo (glu glu glu!); Ferenc Puskas, che fu comprato dal Real Madrid quando era di 18 chili in sovrappeso, guadagnandosi il soprannome di Cañoncito, cioè "Cannoncino" (sì, ma con il Real segnò 156 gol in 180 presenze, vincendo 6 campionati, 3 Coppe dei Campioni, un'Intercontinentale, una Coppa di Spagna). Poi ci sono altri casi di calciatori di ottimo livello che hanno sempre avuto diversi problemi con la bilancia, come Cassano ed Adriano.