Oronzo Pugliese, il personaggio che ispirò Oronzo Canà


Chi non conosce il personaggio di Oronzo Canà, il tecnico della Longobarda del film "L'allenatore nel pallone"? Ebbene, il grottesco personaggio di Lino Banfi, deve molti dei suoi tratti ad una figura calcistica realmente esistita: Oronzo Pugliese.
Oronzo Pugliese era allenatore di calcio, attivo tra gli anni '50 e i '70 che, tra le altre, allenò in serie A Foggia (conducendola in una marcia trionfale iniziata in Serie C) e Roma. Persona genuina e di carisma, Oronzo era un personaggio molto focoso che, come il Canà di Lino Banfi, non era certo dotato dell'aplomb di Liedholm. Per non parlare del comportamento in panchina, sulla quale proprio non era in grado di restare calmo: ingressi in campo per richiamare i giocatori o per festeggiare i gol, scatti sulla fascia ad accompagnare la corsa dell'ala, imprecazioni, ecc... Gianni Brera disse di lui che era "un mimo furente di certe grottesche rappresentazioni di provincia".
Lino Banfi / Oronzo Canà
Nel film (ci riferiamo solo al primo, il recente seguito non lo prendiamo neanche in considerazione) vediamo Banfi gettarsi del sale alle spalle, colpendo l'incolpevole Crisantemi. Ebbene, questo fatto trae origine dalla nota scaramanzia di Don Oronzo. Si narra che comprasse un pacco di sale prima delle partite, per spargerlo intorno la panchina e dietro le porte. Infinite sono le storie che si raccontano sul suo conto. Pare che un giorno diede un ceffone ad uno sconosciuto in un cinema perché fumava: pensava si trattasse di Pace, centravanti del Bologna di cui era allenatore. Leggendaria pare fosse anche la sua taccagneria. All'inviato del Guerin Sportivo, che lo intervistò nella sua villa in campagna quando ormai, suo malgrado, era in pensione, disse:

Con un galletto, a Bari
"Volete fare delle foto? Si, ma non esageriamo altrimenti la gente dice: ma guarda quanti soldi ha 'sto... Il fatto è che i soldi io, non li ho consumati né a carte e né a puttane: li ho messi nel portafoglio mio."

Le interviste erano poi sempre uno spettacolo. Sulla panchina si esprimeva in barese stretto, tanto da risultare incomprensibile per qualche suo giocatore (Pairò, suo giocatore ai tempi della Roma, dirà: "Io con Pugliese andavo d'accordo, ma non sempre riuscivo a capire quando parlava e considerate che io l'italiano l'avevo imparato bene"). Ma ai microfoni sfoderava il migliore italiano possibile, inciampando però in memorabili strafalcioni. Ne citiamo uno? "Undici gambe abbiamo noi, undici gambe hanno loro".



Se appare evidente che come personaggio fosse una macchietta, non vada comunque sminuita la sua carriera di allenatore.
Iniziò, come tutti, dalla provincia, durante la seconda guerra mondiale. Il primo ingaggio fu come allenatore del Leonzio, squadra della città di Lentini, in Sicilia. La paga consisteva in una cassetta di arance al mese. D'altronde erano anni difficili.
Pugliese e Herrera
Poi il lungo girovagare, fino all'approdo al Foggia, con il quale visse i momenti più belli, portando la squadra pugliese dalla serie C alla serie A. E una volta approdato nella massima serie, condusse i rossoneri ad uno strabiliante 9° posto, prendendosi anche il lusso di battere 3-2 la grande Inter del Mago Herrera (stagione 1964/1965). Tale successo gli fece guadagnare l'appellativo di "Mago di Turi", il paese della Puglia dal quale proveniva. D'altronde, come nella migliore tradizione romantica, per ogni protagonista serve un antagonista. Il Mago Herrera, allenatore della grande Inter, quel giorno incappò nel mago di Turi, fiero condottiero dei suoi agguerriti "picciotti" (così chiamava i giocatori).
Nella stagione successiva, la strabiliante affermazione con il Foggia gli valse la panchina della Roma. Ma in 3 anni alla guida della squadra della capitale, non riuscì mai ad andare oltre l'8° posto. Si concesse comunque di nuovo il lusso di battere l'Inter, 2-0. Era l'idolo dei tifosi, ma ciò non gli consentì di mantenere l'incarico e ben presto abbandonò la massima serie. Ancora una breve apparizione alla guida del Bari (con cui sconfisse per la terza volta Herrera, allora seduto sulla panchina della Roma) e poi il girovagare tra serie B e serie C. Fiorentina e Bologna, tra le altre squadre allenate.
Il mago di Turi si è spento nella sua città natale l'11 marzo del 1990. Il calcio ha perso così un personaggio vero e genuino, di un calcio romantico che forse non esiste più.

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