
Gentile su Maradona, ovvero "football is not for ballerinas"

Le scarpe bianche di Marco Simone
Verdi, gialle, azzurre, fluorescenti, metallizzate, di colori diversi... Di scarpe, nei campi di calcio, ne vediamo di tutti i colori. Una moda che ha contagiato il calcio a tutti i livelli, dal professionismo all'amatoriale. Ma fino ad un ventannio fa, le scarpe da calcio erano solo e soltanto nere.
C'è forse un momento preciso, in cui le scarpe colorate fecero ufficialmente il loro ingresso nel mondo del calcio. E quel momento, che forse i tifosi milanisti ricordano più di altri, è la finale di Coppa Campioni del 1995 tra Milan e Ajax.
Quel giorno Marco Simone scende in campo con un paio di Valsport bianche, abbinatissime alla divisa milanista scelta per l'occasione. A chi assiste da casa, sembra che il calciatori indossi solo un paio di calzini senza scarpe. In fin dei conti non c'era l'HD e quelle scarpe bianche, sembravano solo un continuo dei lunghi calzettoni. Sorpresa iniziale, un po' di smarrimento, qualche commento sulla scarsa virilità di un uomo con indosso delle scarpe bianche, ma queste fecero comunque breccia nel cuore degli appassionati più giovani.

Invece, quelle scarpe di Simone, ti mandavano in tilt. La convinzione che giocasse scalzo accompagnava ogni inquadratura. E se eri abbastanza giovane, già ti immaginavi con le stesse scarpe ai piedi.
Capigliature orrende

Volendo fare un rapido excursus, pare d'obbligo partire da Sir Bobby Charlton e il suo ridicolo riporto, che lo accompagnò per tutta la carriera calcistica, culminata con la vittoria del mondiale del '66, in casa.
Un'altra leggenda del calcio del Regno Unito, ad aver avuto problemi a mascherare la calvizie, era John Dempsey. Ha vinto persino una Coppa della Coppe con il suo Chelsea, segnando anche un gol in finale contro il Real Madrid. Pensate che questo gli abbia donato gloria eterna? Certo che no. A rendere celebre Dempsey è stata la sua acconciatura ai limiti dell'orrendo, che però sfoggiava con una certa fierezza.

Renè Higuita, il re scorpione
La Colombia ha regalato uno dei personaggi più "bizzarri" che il mondo del calcio ricordi: Renè Higuita. Portiere di indubbio talento, capace di entusiasmare come una rockstar. Higuita è stato il primo portiere goleador, in grado di mettere a segno in carriera ben 55 gol, tra punizioni, rigori e cavalcate solitarie.
Poco più di un metro e settanta, ma dalle spiccate doti atletiche, Higuita ha passato la sua carriera quasi interamente in patria, dove è diventato un idolo assoluto. Anche se la sua storia con la nazionale ha vissuto momenti di alti e bassi. In particolare, i mondiali sono stati piuttosto indigesti per il nostro.
Il suo primo mondiale fu quello del 1990. Il grande pubblico potè per la prima volta apprezzare quell'eccentrico portiere, che usciva palla al piede dalla difesa e faceva ripartire l'azione offensiva. Fatto piuttosto inusuale e pericoloso. E infatti, nell'ottavo di finale contro il Camerun, una sua passeggiata fuori area costò cara alla Colombia: palla rubata da Roger Milla e gol. La partita la squadra sudamericana la perse lì. Erano i tempi supplementari, poco tempo per recuperare e tanta stanchezza. Alla fine fu 2-0 e tutti a casa.
Invece, al mondiale successivo Higuita neanche andò. Era in carcere, perché fece da mediatore per un sequestro di persona. Cercò di far valere le sue conoscenze (pare fosse grande amico di Pablo Escobar), ma in Colombia pagare riscatti è contro la legge. Il risultato fu una denuncia, un processo e la successiva condanna, che gli impedì, appunto, di partire per gli Stati Uniti.
Nel 1998 non fu nemmeno convocato.
Ma al di là delle stravaganze in campo (e fuori), Higuita può vantare un palmarés di tutto rispetto: una coppa Libertadores, una coppa Intercontinentale, due coppe Interamericane, oltre al campionato colombiano.
La partita del secolo: Italia - Germania 4-3
È stata ribattezzata "la partita del secolo". A ricordarlo c'è anche una targa all'ingresso delle stadio Azteca. Per noi italiani, il racconto di quel match ha toni epici, come fosse stata una guerra, vinta con il sangue dell'ultimo soldato, al grido patriottico di "Italia!". D'altronde lo diceva anche Sir Winston Churchill: "Gli Italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come fossero guerre".
Per il resto del mondo, pur assumendo toni meno epici, la storica Italia - Germania del 1970 ha rappresentato il "calcio" in tutta la sua bellezza (eccetto forse in Germania).
Quel che avvenne in quel pomeriggio messicano del 17 giugno del 1970 è storia nota. Allo stadio Azteca di Città del Messico si fronteggiano Italia e Germania. In palio c'è l'accesso alla finale mondiale. L'Italia è reduce da un girone eliminatorio non proprio entusiasmante (vittoria contro la Svezia e due pareggi a reti inviolate contro Uruguay ed Israele), ma ha anche eliminato abbastanza agevolmente i padroni di casa battendoli 4-1. La Germania invece, ha umiliato gli inglesi, andando a vincere una partita che stavano perdendo 2-0 a venti minuti dalla fine. Tra le due, se una favorita c'è, è la Germania.
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